Nasce il 12 febbraio del 1926 a Spoleto e si spegne il 2 marzo 2023 serenamente a Roma all’età di 97 anni.
Nel 1947 si iscrive alla facoltà di Architettura presso l’Università La Sapienza di Roma, città nella quale, dopo aver visitato una mostra di Morandi, sboccerà il suo amore per la pittura.
A Spoleto avvierà, nell’ambito del post-cubismo, la sua fortunata carriera artistica e sarà tra i fondatori, nei primi anni Cinquanta (1951), del Gruppo di Spoleto, sostenuto dal critico Francesco Arcangeli, assieme a Giuseppe De Gregorio, Filippo Marignoli, Giannetto Orsini, Ugo Rambaldi e Bruno Toscano. Sarà, inoltre, tra i promotori del Premio Spoleto, la cui prima edizione risale al 1953.
Nel 1955, come post-cubista, partecipa alla collettiva del Gruppo di Spoleto, voluta da Francesco Arcangeli, alla galleria “La Loggia” di Bologna. L’incontro con il critico bolognese, segnerà una prima svolta nel suo iter artistico. Da questo momento, infatti, abbandonerà le forme post-cubiste.
Sempre nel 1955 per la prima volta è presente alla Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma.
Dal 1956 il riferimento principale diventa l’ambito Informale, da cui apprende nuove possibilità espressive della materia al di fuori di ogni superstite esigenza figurativa.
Nel 1957, entra a far parte del manipolo di artisti gravitanti attorno alla galleria “L’Attico” di Roma di Bruno Sargentini, dove esporrà ciclicamente. Espone alla mostra inaugurale dalla galleria “La Salita” di Liverani a Roma.
Il 1958 è l’anno in cui partecipa per la prima volta, con diverse opere, alla Biennale di Venezia, giungendo alla ribalta internazionale. E’ l’anno in cui i suoi dipinti sono caratterizzati dalla completa perdita di qualsiasi illusorietà spaziale. Larghe spatolate sbarrano, infatti, lo spazio della tela, mentre la tavolozza risulta quasi azzerata sui toni monocromi su cui si addensano le ombre ma anche affiorano spiragli di una luce fredda e tagliente.
È un periodo in cui il suo Informale è sottoposto al controllo di un ritmo, che non è soltanto di gesto, ma che è soprattutto determinato dalla coincidenza attiva tra il momento dell’ispirazione istintiva e la concreta realtà del “fare pittorico”. Da questo momento porta alle estreme conseguenze la propria ricerca materica, abbandonando, tra l’altro, le tecniche tradizionali per l’uso di materiali poveri come sabbia e terra.
“…tra i protagonisti dell’Informale italiano Piero era il raffinato, il sapiente impaginatore, il domatore di ogni increspatura della materia pur quando tale materia sembrava esplosiva e indomabile. Nel suo linguaggio coincidono una sensibilità acutissima e la capacità di dominare i procedimenti e le tecniche pittoriche.” (Enrico Mascelloni)
In questo periodo inizia a realizzare anche una serie di collages, opere che si distinguono dalle tele per il linguaggio, il ritmo, lo spazio, il materiale e le dimensioni. In tali opere, si nota una rinnovata sensibilità pittorica scandita da precise definizioni geometriche.
Nel 1959 viene identificato come uno dei protagonisti dell’Informale materico, affine alla poetica di Burri e Tàpies, come suggerisce Maurizio Calvesi.
“…Raspi è umbro, come Burri, e come lui ha un forte sentimento materico. Ma, mentre Burri è un mistico della materia, Raspi è fortemente terragno. Non è un medico come Burri, che scopre la pittura quasi occasionalmente, riversandovi poi le proprie suggestioni mediche e religiose, come con le muffe e i sacchi, scelta, quest’ultimi, di un voluto poverismo francescano. Raspi proviene da studi di architettura e sceglie subito di far pittura come si fanno gli intonaci nella loro fase elaborativa. La pasta del colore, di fisico spessore, viene stesa sulla tela con la spatola a grandi strisciate. A ben guardare, egli stende e schiaccia il colore sul supporto, come per incollarvelo sopra. La sua pittura si potrebbe definire collage materico, o perlomeno pittura che si richiama alle tecniche del collage, del resto da lui praticato”. (Giorgio di Genova)
A partire dagli anni Sessanta, tiene mostre personali e collettive in Italia, tra cui nuovamente la Biennale di Venezia (1964) e la Quadriennale di Roma (1965). All’estero espone in numerose città, tra le altre, Londra, Los Angeles, San Paolo del Brasile, Rio de Janeiro, Stoccarda, Parigi, Bruxelles, Colonia, Montreal, Madrid, Barcellona, Edimburgo, New York, Chicago, Lucerna, Tel Aviv, Philadelphia, Salisburgo, Zurigo e Tokyo.
Nel 1967 si reca negli Stati Uniti stabilendosi in Pennsylvania. Qui si confronta con le nuove ricerche dalla Pop Art. In questo periodo dipinge una serie di quadri che poi espone a Philadelphia e New York.
Dopo l’esperienza americana, riduce la sua attività pittorica a favore di opere su carta. Questo periodo servirà certamente al riavvicinamento alla pittura su tela che avverrà alla fine degli anni Settanta.
A partire dal 1978, inizia una nuova fase pittorica contrassegnata da opere di un inedito cromatismo, che lasciano affiorare uno spessore mentale, meditativo, tra il trasognato e il nostalgico, e che, fedeli alle premesse degli anni Cinquanta e Sessanta, eppure nuove, sono di un’astrazione lirica sottilissima.
Ora il materismo di un tempo lascia il campo a un fitto pennelleggiare a volte diluito e trasparente che fa intravedere il colore della preparazione e che trova la sua vibrazione luminosa in una sorte di “coprente pioggia esecutiva”.
Dopo aver lasciato nei primi anni Novanta l’insegnamento presso l’Istituto Statale d’Arte di Roma, il suo lavoro procede instancabile. La sua vena acquista accenti personalissimi carichi di suggestioni emotive, soprattutto nelle ultime superfici monocromatiche, che si avvalgono dell’esperienza materica delle ricerche del periodo informale. Queste composizioni, vengono esposte in numerose mostre organizzate in Italia e all’estero. Tale operosità è oggetto di attenzione anche da parte dell’Università degli Studi di Roma di Tor Vergata, che tramite la Facoltà di Lettere e Filosofia, attribuirà una Tesi di Laurea proprio sul suo operato artistico.
Con l’inizio del nuovo millennio, oltre alla realizzazione dei monocromi, abbraccia altre forme di espressione creativa e ricorre all’uso di nuovi materiali come l’acciaio.
Realizza nel 2001 a Spoleto, presso l’Albornoz Palace, una scultura parietale in lastre di acciaio, dove trasferisce le astratte e raffinate architetture dei collages realizzati sulla fine degli anni Cinquanta.
A partire dal secondo decennio degli anni Duemila, si concentra sulla catalogazione delle sue opere ed in particolar modo sulla realizzazione del proprio Archivio d’artista, oltre che sul restauro di alcune carte e collages degli anni Cinquanta e Sessanta.
Di seguito alcune foto eseguite presso la sua abitazione romana, che lo ritraggono mentre recupera alcuni collages della fine degli anni Cinquanta.